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Queso Sedda - Fiore Sardo DOP Gavoi | Storia
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Queso di Sedda Pier Gavino. Commercio all'ingrosso di formaggio Fiore Sardo

La Storia

come nasce il nostro Fiore Sardo.

La storia di Queso, azienda produttrice di Fiore Sardo DOP Gavoi

PRIMA PARTE

A proposito del formaggio prodotto in Sardegna (Italia), Diodoro Siculo nel 59 a.C. afferma che "Gli Iolei allontanaronsi dai conquistatori, ed intanati nelle montagne e scavati sotterranei abituri, la vita sostentarono col frutto delle greggia, larga ebbero quindi copia di vitto e il latte e il cacio e le carni diedero loro bastevole nutrimento." Palladio Rutilio Tauro, autore latino del sec. IV, ci ha lungamente descritto la preparazione del formaggio in Sardegna: fermenti usati erano per la cagliatura erano sia d'agnello sia di capretto, o afflorescenza di carciofo rustico o lattice di fico (come ancora oggi si fanno particolari formaggi freschi in paesi del mediterraneo).

La Barbagia di Ollolai gravita nel V-VI secolo attorno alla vallata del fiume Taloro, le greggi avevano come pascoli invernali le contrade in seguito denominate Parte Barigadu e Ocier Reale (la zona di Ghilarza) e nonostante i controlli dei presidi costruiti attorno alle montagne, che avevano lo scopo di contenere le incursioni dei pastori, il campo d'azione di questi era vastissimo: Salto di Quirra, Monti di Alà, Bruncuspina, Monte Santa Vittoria. In quel periodo, la produzione di quelle popolazioni constava soprattutto di materiale caseario, particolarmente di quello ovino, ottenuto in secchi di sughero o ceppi di quercia incavati in modo da contenere "il liquido di mungitura" facendo bollire con ciottoli arroventati al fuoco e aggiungendo il fermento. Una volta coagulato, era travasato in vasi di legno duro o forme, forati, era poi travasato in una tina contenente salamoia, successivamente posto su graticci di legno o canna (sa cannizza). Dopo l'anno mille è intensa la produzione casearia, inoltre le forme di formaggio costituivano mezzo di pagamento.

Oristano era, certamente, nel medioevo centro di commercio caseario: qui scendevano, anche allora, i greggi del Mandrolisai e della Barbagia. (Imberciadori). Altri porti utilizzati erano Cagliari, Alghero, Bosa. Fin dai primi anni del 1100, la Sardegna si offre agli occhi di commercianti genovesi e pisani come terra in cui si possono acquistare a buon prezzo certi generi alimentari, come cereali e formaggi, che i mercati continentali richiedono con rigida regolarità. Nel Giudicato di Arborea, il più fertile e ricco per certi prodotti, si era insediato il mercante genovese ed imposto come uomo di buon affare e i Giudici, quasi a simbolo di generosa e festosa ospitalità, erano soliti offrire ai genovesi forme de casu et aione de benedicere. Una forma di cacio, tanto grande da essere trasportata in carro da bovi, e un agnello da benedire. (Boscolo)

SECONDA PARTE

Verso la fine del 1100 il porto di Cagliari diviene centro di raccolta, di smistamento e invio di ogni prodotto commerciale: dal sale alla lana, dal formaggio al cereale.

Dai contratti di commenda, di prestito marittimo, di cambio, di nolo stipulati a Genova dai notai, o nei porti della Riviera ligure o a Bonifacio che svolse, dopo la sua fondazione nel 1195, il ruolo di tappa intermedia fra il continente e tutta la Sardegna del nord, si deduce che le esportazioni maggiori del nord Sardegna consistevano soprattutto in grano e orzo, pelli e cuoia, lana e formaggio. Attorno al 1294 le navi trafficanti in Sardegna, pisane e genovesi, erano cariche specialmente di granaglie, carni e formaggio. Nel 1299, nei documenti pisani, troviamo che “la Sant’Antonio” una “trita”, ad una coperta, lascia il porto di Cagliari, noleggiata per Pisa da un “patrono” di Barcellona ad un tal cittadino di Sarzana, in Liguria. Il peso della merce è costituito da “cacio sardesco”, pari al peso di 22 pondi e 1/5 che corrispondono a circa 235 quintali di merce.” Si annota nel 1329 che una delle entrate principali delle città sarde, consisteva nel profitto dei dazi; la ricchezza dell’erario civico era dovuta all’intenso traffico commerciale con napoletani, pisani, genovesi, veneziani, anconitani, siciliani, giudei della Barbaria. Sempre in quell’anno le derrate maggiori consistevano nel vino, pelli e cuoia, salumi, olio, biada e formaggio. “Il diritto per il vino era stabilito, se vino rosso (chiamato nella tariffa vino latino) di un denaro per barile; se vino bianco (detto vino greco) di due denari; per un quintale di formaggio di quattro denari.” Il 17 dicembre del 1330, da Cagliari, partono su una nave genovese per conto di mercanti pisani, residenti in Cagliari, 650 forme di cacio “sardesco” salato. Dopo il 1341 risultano frequenti scambi commerciali tra la Sardegna e le Baleari. Negli archivi aragonesi troviamo. “1361, abril, 21, Mallorca. El Gobernador concede licencia a Sancho Sanchiz, de Valencia, para sacar de la isla seis quintales de quesos de Cerdena Y transportarlos a Valencia” (Pablo Cateura Bennasser).

Il formaggio sardo, veniva quotato all’equivalente di 42,3 g. d’argento il quintale nel 1332; 41,0 g. Nel 1356, ma 26,5 g. Soltanto nel 1463 (nel Capo di sopra, il prezzo-argento d’un quintale di formaggio verso il 1503-05 varia tra 19,4 e 34, g.)

Nei diplomi e nelle carte, riportate dal Tola nel Codice Diplomatico della Sardegna, nel secolo XIV, ritroviamo disciplinato il commercio del formaggio: “Qualunque aet bender casu salatu, sende mischiatu terra in su sale, over attera bruttura, paghet pro zascatunu cantare soddos III de lanua; sa mesitate dessu quale bandu siat dessu cumone, et issa attera dessu accusatore; et siat tentu secretu...”

Nel 1567 un viceré di Sardegna si vantava di aver largamente e regolarmente offerto al mercato internazionale i formaggi della Sardegna. “Molti i formaggi dell’Alvernia, del Milanese, di Parma e più ancora i formaggi sardi che riempivano interi galeoni e venivano esportati in Spagna e in Italia” (Braudel).

TERZA PARTE

Dai contratti di commenda, di prestito marittimo, di cambio, di nolo stipulati a Genova dai notai, o nei porti della Riviera ligure o a Bonifacio che svolse, dopo la sua fondazione nel 1195, il ruolo di tappa intermedia fra il continente e tutta la Sardegna del nord, si deduce che le esportazioni maggiori del nord Sardegna consistevano soprattutto in grano e orzo, pelli e cuoia, lana e formaggio. Attorno al 1294 le navi trafficanti in Sardegna, pisane e genovesi, erano cariche specialmente di granaglie, carni e formaggio. Nel 1299, nei documenti pisani, troviamo che "la Sant'Antonio" una "trita", ad una coperta, lascia il porto di Cagliari, noleggiata per Pisa da un "patrono" di Barcellona ad un tal cittadino di Sarzana, in Liguria. Il peso della merce è costituito da "cacio sardesco", pari al peso di 22 pondi e 1/5 che corrispondono a circa 235 quintali di merce." Si annota nel 1329 che una delle entrate principali delle città sarde, consisteva nel profitto dei dazi; la ricchezza dell'erario civico era dovuta all'intenso traffico commerciale con napoletani, pisani, genovesi, veneziani, anconitani, siciliani, giudei della Barbaria. Sempre in quell'anno le derrate maggiori consistevano nel vino, pelli e cuoia, salumi, olio, biada e formaggio. "Il diritto per il vino era stabilito, se vino rosso (chiamato nella tariffa vino latino) di un denaro per barile; se vino bianco (detto vino greco) di due denari; per un quintale di formaggio di quattro denari."

Il 17 dicembre del 1330, da Cagliari, partono su una nave genovese per conto di mercanti pisani, residenti in Cagliari, 650 forme di cacio "sardesco" salato. Dopo il 1341 risultano frequenti scambi commerciali tra la Sardegna e le Baleari. Negli archivi aragonesi troviamo. "1361, abril, 21, Mallorca. El Gobernador concede licencia a Sancho Sanchiz, de Valencia, para sacar de la isla seis quintales de quesos de Cerdena Y transportarlos a Valencia" (Pablo Cateura Bennasser). Il formaggio sardo, veniva quotato all'equivalente di 42,3 g. d'argento il quintale nel 1332; 41,0 g. Nel 1356, ma 26,5 g. Soltanto nel 1463 (nel Capo di sopra, il prezzo-argento d'un quintale di formaggio verso il 1503-05 varia tra 19,4 e 34, g.) Nei diplomi e nelle carte, riportate dal Tola nel Codice Diplomatico della Sardegna, nel secolo XIV, ritroviamo disciplinato il commercio del formaggio: "Qualunque aet bender casu salatu, sende mischiatu terra in su sale, over attera bruttura, paghet pro zascatunu cantare soddos III de lanua; sa mesitate dessu quale bandu siat dessu cumone, et issa attera dessu accusatore; et siat tentu secretu..." Nel 1567 un viceré di Sardegna si vantava di aver largamente e regolarmente offerto al mercato internazionale i formaggi della Sardegna. "Molti i formaggi dell'Alvernia, del Milanese, di Parma e più ancora i formaggi sardi che riempivano interi galeoni e venivano esportati in Spagna e in Italia" (Braudel).

Francesco Gemelli nel 1776, afferma che del formaggio si fa copia considerevole in Sardegna ed è oggetto di commercio: "veniva asciugato su un tessuto di canna nella parte superiore del covile e vi accendevano sotto il fuoco. Contraeva così l'odore di fumo che non dispiaceva ai romani".